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al testo di Roberto Maggiani
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Corpi celesti, sottotitolato Antologia di poesia spaziale. Impossibile, da parte mia, non leggerlo interamente e tutto d’un fiato. Sono un appassionato di poesia e anche un appassionato di astronomia, da tempo vado indagando, e proponendo, una sorta di letteratura universale, che s’apra cioè all’idea che viviamo in un cosmo molto più ampio dei due metri quadrati di terra in cui siamo relegati dalla forza di gravità e da altri fattori fisici non meno importanti; una letteratura che tenga conto della scienza e delle sue scoperte e implicazioni… e, perché no, inizi a pensare ai possibili altri pianeti di vite intelligenti con altre “letterature”. Pertanto sono ipersensibile a tutto ciò che si muove in tale direzione. Ma, nonostante il mio entusiasmo, la prima lettura non mi ha convinto, forse avevo troppe aspettative, per così dire, spaziali? Ho atteso del tempo e l’ho riletto, ma ancora non mi ha convinto; ho atteso ancora molto tempo ed è apparsa su facebook la seguente notizia: “AlessandraCenniCorpicelesti Ebbene, si trovano nel libro splendide poesie, come quella che avvia la prima sezione della raccolta, intitolata Il cosmo in una stanza, eccola: E il quinto angelo sonò e vidi che una stella era caduta dal cielo sulla terra e le fu data la chiave del pozzo abissale Apocalisse Una galleria profonda in cui fugge l’universo - ogni cosa divina e plurima ogni realtà complessa - oltre lo specchio ustorio che le acceca le cose del passato e vidi me ridente luminosa - una morta felice - era soltanto- infanzia. Pensate tutto l’esistente - d’un tratto - attraversare barriere - il nero torrente sotto voi partorire chimere - rompere nella vostra dimora protetta - cadere dal tetto nella fretta divina di accadere per voi. E mentre rovina la vostra casa voi diventate il futuro. È totalmente meritevole il tentativo di Alessandra Cenni di avvicinare la scienza per mezzo della poesia, o, meglio, di coinvolgere nella poesia la scienza e attraverso la poesia tentare di esprimere la meraviglia indotta nello spirito umano dalle scoperte scientifiche. Riporto un interessante pensiero di Richard Feynman, uno dei più grandi scienziati del Novecento: I poeti sostengono che la scienza tolga via la bellezza dalle stelle – ridotte a “banali” ammassi di gas. Non c’è nulla di “banale”. Anche io posso vedere le stelle nella notte deserta, e sentirle. Ma vedo di meno o di più? La vastità dei cieli estende la mia immaginazione. Bloccato su questa giostra il mio piccolo occhio può catturare luce vecchia di un milione di anni. Un grande disegno di cui sono parte […] Qual è il disegno, o il significato, o il perché? Non sminuisce il mistero conoscerne un po’. Poiché la verità è ancor più meravigliosa di quanto ogni artista del passato abbia mai immaginato. Perché i poeti moderni non ne parlano? Che uomini sono quei poeti che possono parlare di Giove come se fosse un uomo ma se invece è una enorme sfera rotante di metano e ammoniaca rimangono muti? Tuttavia, il voler fare poesia a partire dal mistero della natura, che la scienza contribuisce a rivelare, semplicemente partendo da alcune nozioni scientifiche, acquisite per curiosità o per passione o per studio, non è cosa facile, senza scadere in ovvie considerazioni didascaliche, più che poetiche. La straordinaria pressione esercitata su uno spirito incline alla meraviglia davanti alle “rivelazioni” tanto fantasiose della scienza, tende a investirlo come un’onda d’urto che destabilizza l’assetto di un volo, quello poetico, in questo caso. La scienza adotta il linguaggio della matematica, esso è un linguaggio vero e proprio che attinge a un serbatoio grafico di simboli e ha regole, esattamente come qualsiasi altra lingua. Ma in essa vige una logica stringente dalla quale, misteriosamente, escono, come da un cappello magico, i misteri della natura che gli scienziati traducono in linguaggio corrente affinché possano essere compresi anche da chi non conosce la lingua della matematica. Come in ogni processo di traduzione, anche qui, si rischia di perdere alcuni significati importanti e il discorso matematico-scientifico perde il suo valore, talvolta rischia la banalizzazione. È quello che a tratti succede, a mio avviso (e mi si perdoni se lo dico così esplicitamente), in questa raccolta poetica. Non conosco la produzione poetica di questa autrice, la mia è soltanto una analisi personale relativa a questa raccolta, che avvicino come lettore di poesia e come fisico, ma capisco che, avvicinata come lettore e non con la competenza di uno scienziato, può invece affascinare per alcune miscelazioni filosofiche e scientifiche che abilmente l’autrice riesce a proporre, come ad esempio in “L’orizzonte degli eventi”, che è un’altra delle poesie che ho molto apprezzato. Ma tralasciando l’aspetto più strettamente scientifico devo dire che ho trovato anche debolezze di forma, là dove, ad esempio, troppo spesso si trovano aggettivazioni atte a voler eccessivamente colorire alcuni concetti scientifici; oppure inversioni tra sostantivi e aggettivi che rendono il discorso poetico un po’ vecchio, non in linea con una, mi si passi il concetto, certa modernità poetica. Certo, potevo tacere, ma il rapporto poesia/scienza è un campo in cui mi trovo, volente o nolente, a lavorare col mio personale discorso poetico, pertanto ho preferito parlare, e anche esplicitamente, allo scopo di indurre una dialettica e una spinta di ricerca sempre più decisa e profonda in tale direzione, sicuro della comprensione dell’autrice, alla quale non manca certo la mia ammirazione per il coraggio della linea di lavoro intrapresa. Ovviamente questo è un invito alla lettura, perché, sono certo, è un libro godibile da moltissimi lettori, che ha il pregio certo di aprire spiragli sul mistero e il senso della vita nell’universo in cui ci troviamo, nostro malgrado, ad esistere. Infine, per riscattare dal mio dire questa raccolta, propongo una lettura di Maurizio Soldini a Corpi celesti, la trovo pertinente e mette in luce alcuni tratti essenziali che mi trovo a condividere:
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